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Leadership. Guidare con le parole e con il feedback

“Nella comunicazione quello che conta non è l’intenzione ma l’effetto.”

Paul Watzlawick

Il potere delle parole e del feedback per chi ha un ruolo di leadership

Il feedback è uno tra gli strumenti di comunicazione più potenti quando si parla di leadership. Nella comunicazione infatti le qualità di un vero leader si vedono anche nella capacità di saper usare le parole giuste, nel momento e nel modo giusto per guidare il team verso il successo.

Se ci fermiamo un attimo a riflettere possiamo comprendere quanto non solo le nostre azioni, ma anche il linguaggio che usiamo, influenzano la nostra realtà quotidiana. Le parole possono trasformarsi in potentissimi agenti di cambiamento, sono come dei semi che più o meno consapevolmente, piantiamo nei nostri team e organizzazioni. Prima di piantarli però dobbiamo saper riconoscere quelli che porteranno fiducia, collaborazione e risultati da quelli che genereranno malessere, incomprensioni o conflitti.

Per questo è importante, soprattutto per chi ricopre un ruolo di leadership, acquisire consapevolezza del proprio linguaggio abituale, in modo da poterlo usare come leva di crescita per generare benessere. Dopotutto un bravo leader dovrebbe saper ‘creare un mondo al quale le persone desiderino appartenere’ e il saper raccontare questo mondo è indispensabile per favorire la partecipazione, il commitment e la collaborazione dei membri del team.

Nella comunicazione, diceva Paul Watzlawick, quello che conta non è l’intenzione ma l’effetto. L’effetto che produciamo con le parole che scegliamo, più o meno consapevolmente di usare, determina anche il modo in cui ci influenziamo l’un l’altro all’interno dei team e nelle relazioni con i colleghi.

A volte siamo assuefatti ad un linguaggio standardizzato all’interno delle aziende, senza neanche rendercene conto. Eppure le parole che ogni giorno un leader sceglie di usare con il proprio team o con i propri stakeholder possono influenzare la qualità e la direzione della sua vita lavorativa.

Le parole che scegliamo di usare possono sia avvicinarci che allontanarci dai nostri obiettivi, alla fine dipende tutto da noi…

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La magia delle parole

Il linguaggio è la cosa che ci rende umani, è uno strumento sofisticato che ci distingue da tutti gli altri esseri viventi. Secondo gli esperti, ogni parola che usiamo suscita in chi ci ascolta una serie di idee e ricordi che attivano nel nostro cervello la produzione di ormoni e neurotrasmettitori.

Se ci facciamo caso possiamo notare come ogni parola contiene delle ‘cose’: altre parole, idee, immagini, ormoni, neurotrasmettitori, chimica (Paolo Borzacchiello). Questo è il motivo per cui la parola è generativa, non si limita a descrivere la realtà ma la crea, la parola fa esistere la realtà.

Ma ogni parola che usiamo è anche un atto di identità: racconta qualcosa di noi, del nostro mondo interiore e allo stesso tempo ci influenza, determinando il nostro stato d’animo. Ed è proprio questa preziosa consapevolezza che può aiutare un leader a scegliere il linguaggio più appropriato per:

  • suscitare entusiasmo verso una mission condivisa,
  • per comunicare con chiarezza una strategia aziendale lungimirante,
  • per stimolare l’immaginazione delle persone e guidarle nella direzione giusta.

In fondo non prestiamo mai la giusta attenzione a quanto manager e leader con i loro comportamenti finiscano per condizionare la vita lavorativa e personale dei loro collaboratori. Un feedback che sia costruttivo, di miglioramento o di apprezzamento è uno dei contributi più utili e di impatto che un manager possa portare al suo team.

Infatti se in un’organizzazione le persone non sono a conoscenza di cosa il capo o i colleghi pensano di loro, cosa si aspettano da loro, non riusciranno nemmeno ad accedere a quelle informazioni necessarie per poter continuare a lavorare in modo efficace.

Se consideriamo l’organizzazione come un sistema interconnesso, è facile comprendere come lo scambio di dati ed in particolare di feedback, cioè di informazioni di ritorno, rappresenti un processo vitale in qualsiasi azienda.

La cultura del feedback in tal senso fa scorrere quella linfa vitale rappresentata dallo scambio di informazioni che permette alle persone di sapere banalmente se il loro lavoro è utile, se incide positivamente sui colleghi, se porta risultati, o se al contrario è necessario correggere il tiro prima che sia troppo tardi.

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Cultura del feedback vs Cultura del silenzio

Nelle aziende la paura di esprimersi di fronte alla gerarchia può generare una vera e propria epidemia di silenzi. Quante volte mi è capitato di assistere a riunioni in cui parlava solo una persona, dei veri e propri monologhi senza alcun cambio turno. Spazi completamente privi di ascolto e cittadinanza per le opinioni dell’Altro.

Negli anni le ricerche sul silenzio nei luoghi di lavoro hanno individuato diverse ragioni che portano le persone a non esprimersi. Tra queste ci sono:

  • la paura di essere etichettati in modo negativo
  • il bisogno di tutelare la propria posizione lavorativa
  • la paura di danneggiare le relazioni con gli altri.

Questi studi ci dicono che quando una cultura del feedback e dell’ascolto è scarsa, nelle aziende tendono a proliferare i seguenti comportamenti:

  • tendenza a non esprimere opinioni o idee divergenti,
  • nascondimenti o avvertimenti inascoltati,
  • pericolosa illusione di successo.

Quando al contrario un manager si apre all’ascolto, chiedendo feedback ai propri collaboratori, non solo apprende moltissimo ma migliora anche in modo significativo le sue performance. In più nel momento in cui un leader, dando l’esempio, stimola la libera espressione delle idee contrasta la cultura del silenzio. Questo favorisce la costruzione di quell’humus fertile in cui nascono relazionali basate su autenticità, rispetto, trasparenza, e fiducia.

Da un lato occorre quindi saper dare feedback. Affinché portino ad un reale miglioramento questi devono essere ben circostanziati e non lasciati al caso come fossero sterili giudizi.

Dall’altro lato pensiamo alla circolarità di apprendimenti e al potere (tras)formativo che il saper accogliere pensieri divergenti può generare in un contesto aziendale.

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Riferimenti bibliografici